Quel giorno che ho fatto la modella

Riflessioni varie su autostima, immagine di sé e fotografia

Viviamo nell’epoca del selfie, dei social, dell’immagine. La comunicazione online è diventata una parte attiva, persistente e consistente delle nostre relazioni. Da quando il cosiddetto “first screen” è diventato quello del cellulare siamo costantemente connessi e costantemente in conversazione con le persone che fanno parte della nostra rete.

Questa tipologia di comunicazione chiama e richiede contenuti visivi. Noi esistiamo in base a quello che pubblichiamo e tentiamo in ogni momento di “umanizzare”, di “scaldare” i nostri contenuti per sostituire elementi della comunicazione interpersonale che sono naturali e indispensabili quando parliamo “in presenza”. Gli emoticon (le faccine) sono l’esempio più lampante di questo istinto che ci porta a sostituire la comunicazione non verbale nelle nostre conversazioni digitali.

La tendenza a fotografarsi e a condividere immagini fa parte di questo desiderio di comunicare, di esistere, di dare un volto a ciò che si vive e di cui si parla.

Io stessa condivido spesso “selfie” o comunque fotografie scattate con lo scopo di documentare la mia vita, un po’ per promuovere la mia attività di consulente, un po’ per essere più vicina alla mia famiglia sparsa per l’Italia, un po’ per autogratificazione.

Al di fuori delle valutazioni di merito, ritengo che prendere l’abitudine a fotografarsi, quindi a vedersi non solo nello specchio del bagno, ma, in generale, anche nei vari contesti della nostra vita, sia un modo di imparare a conoscersi e diventare consapevoli della propria immagine.

Come esperta di marketing e personal branding, credo fermamente che la capacità di gestire la propria immagine, la propria gestualità, le proprie espressioni sia una competenza fondamentale nelle relazioni e nei meccanismi di fiducia che portano al successo. Ancora di più credo che non si possa lavorare sulla propria autostima senza lavorare sul proprio corpo: con questo non intendo che bisogna essere “belli” a tutti i costi secondo i parametri sociali più diffusi. Avere un’immagine vincente o, meglio, convincente, è spesso più una questione di armonia, di gusto, di espressione, di capacità di presentarsi con coerenza al proprio ruolo e alla propria personalità. La storia dei grandi personaggi è costellata di “bellezze” riconosciute come tali per la capacità di valorizzare elementi ritenuti universalmente “difetti”.

La personalità, l’anima emergono anche dall’immagine e l’apparenza è parte indissolubile dalla sostanza.

Cosa c’entra tutto ciò con il titolo del post? Ora te lo spiego.

Se si ritiene di curare la propria immagine (il proprio brand) in modo professionale, arriva il momento in cui ci si deve far fotografare da un professionista.  La propria immagine lo richiede e anche l’efficacia della propria comunicazione on line. Servono i selfie, servono le immagini scattate al volo con l’iphone, ma servono anche un po’ di fotografie belle, ma belle davvero, che abbiano dietro un occhio esperto, la luce giusta, la capacità di far uscire quel che davvero si è.

E così ho fatto. Uno shooting vero: styling, trucco, parrucco, appuntamento a Piazza Repubblica alle 11 con il fotografo (il vantaggio di vivere a Roma è che le location si sprecano). “Ale, qui la luce è giusta, sbrigati ad arrivare”. E ho giocato a fare la modella.

Un’esperienza del genere – oltre ad essere molto divertente – ti costringe a lavorare su di te. Devi scegliere cosa indossare, devi imparare a recitare la parte di te stessa, essere come vorresti che gli altri ti vedessero. Devi superare la vergogna di essere in un luogo pubblico a fare tutto questo. Noi siamo programmati per riconoscere come negativa la vanità, siamo programmati per schernirci, rifiutare i complimenti, arrossire.
Siamo programmati a pensare “ma figurati, io?”. E invece sì. Proprio io, questa volta.

Certo il fotografo deve essere quello giusto, quello che è capace (e ha voglia) di vedere chi sei, di vedere la tua bellezza anche al di fuori dagli stereotipi (e tutti ce l’hanno una bellezza propria, basta tirarla fuori), deve avere la pazienza di insegnarti.
Il fotografo è un po’ il regista, quello che ti guida, che ti insegna a guardarti.

Se il lavoro è fatto serenamente aiuta, tantissimo, a capire se stessi. Anche a prendere provvedimenti su ciò che non ci piace (tutte le mie diete più riuscite sono sempre nate da una fotografia).

Alla fine gli scatti che sceglierete saranno quelli che fanno vedere chi sei, in cui c’è la luce giusta degli occhi, in cui il sorriso è vero, in cui i pensieri sono quelli giusti.

Tutti gli altri serviranno come scuola, scuola di te stessa, scuola per quando ti troverai a parlare in pubblico, o a tu per tu con un cliente o con qualcuno che vuoi corteggiare (è marketing anche questo, lo sappiamo ormai).

In tutti i miei progetti di personal branding, dopo l’analisi iniziale, si passa allo shooting professionale, perché servono le foto per comunicarsi in rete e perché serve questo lavoro sulla propria immagine. Dopo, tutto scorre meglio.

Dimenticavo, buona parte delle cose che ho scritto le ho imparate dal “mio” fotografo, Claudio Brufola (www.eblu.it) che è l’autore del servizio di cui parlo e di quasi tutte le foto di questo sito, e che è riuscito a fermare la luce che cerco di mettere sempre nei miei occhi e che è una delle cose che mi piacciono di me 😉 .